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Castore

Non esistono proprie montagne, si sa, esistono però proprie esperienze. Sulle montagne possono salirci molti altri, ma nessuno potrà mai invadere le esperienze che sono e rimangono nostre.

Walter Bonatti

Con i suoi 4230 metri di quota, il Castore è la vetta più alta delle due cime del monte Rosa. L'escursione inizia il giorno prima, si prepara lo zaino pensando a quanto ti potrà servire in quota; è ben vero che siamo in piena estate, ma in alta montagna chi ha un minimo di esperienza sa bene che il tempo può cambiare molto repentinamente. È tutto un bilancio tra voler avere tutto il possibile ed immaginabile e la consapevolezza che ogni chilogrammo te lo devi portare a spalle durante la salita; alla fine se sei "bravo" ti ritrovi comunque con uno "zainetto" da 10-12 chili sulle spalle.
La salita appunto, il primo giorno te la cavi "con poco" si sale in auto fino dove possibile, ci si mette le pedule ai piedi (quelle ramponabili che non sono propriamente leggere n.d.r.), lo zaino in spalla e via, si inizia a salire. Si inizia da poco più di 2100 metri di quota, c'è ancora qualche albero, alpeggi in fiore e ruscelli di fredda acqua trasparente; la prima tappa è il rifugio Mezzalama, lo storico rifugio costruito in corrispondenza del vecchio fronte del ghiacciaio a poco più di 3000 metri. È dedicato alla persona considerata il padre dello sci alpinismo (in suo onore ogni due anni viene svolto il trofeo Mezzalama una gara veramente dura con partenza da Cervinia ed arrivo a Gressoney, passando per la vetta del Castore). E' un rifugio vecchia maniera, piccolo, quasi tutto in legno con la facciata dipinta di un bel rosso acceso, se si sa dove cercare lo si riesce a scorgere fin da molto lontano. Si mangia un panino troviamo la nostra guida Stefano che è sceso a prenderci, lasciamo gli amici che ci hanno accompagnato lungo questa prima parte della salita e, rimesso lo zaino in spalla, ci dirigiamo verso il rifugio Lambronecca dove passeremo la notte. Il terreno che ci troviamo sotto i piedi cambia velocemente, sparisce in fretta qualunque tipo di vegetazione, solo roccia, arrivano presto i primi nevai da attraversare (questa primavera è stata davvero generosa con la neve e nelle zone in ombra se ne trova molta di più rispetto agli altri anni) ed il tracciato si fa bello ripido ormai solo su rocce. Ad un certo punto alzando lo sguardo vediamo il rifugio che sovrasta le nostre teste; una struttura imponente costruita poco più di 20 anni fa in corrispondenza del fronte del ghiacciaio attuale, ben più alto del fronte di un tempo. Entriamo nel rifugio, dopo 5 ore di salita le gambe si fanno sentire, birretta e dietro suggerimento di Stefano, riposino perché l'indomani la giornata sarebbe stata impegnativa. In camerata trovi Ungheresi, Svizzeri, Francesi (avremmo scoperto poi a cena di essere l'unico tavolo di italiani) ognuno con la sua meta da raggiungere; si fanno 4 chiacchiere dove vai, da dove vieni quali montagne hai fatto, faccio un panorama del fronte del ghiacciaio dalla finestra della camerata e poi dormo. Mi sveglia Stefano dopo poco più di un'ora, di lì a poco sarebbe stata pronta la cena. Pasta o minestra, spezzatino e budino; menù uguale per tutti... siamo in rifugio non al ristorante, qualunque cosa deve essere portata su in elicottero. Si sistema lo zaino, si tirano fuori gli abiti per l'indomani mattina, si preparano i ramponi e si va a dormire presto (in rifugio le luci si spengono alle 10), o almeno si prova. La sveglia è alle 5.20 un orario che farebbe inorridire chiunque, ma per andare in alta montagna è assolutamente normale. Ci vestiamo, si scende a fare colazione si chiude lo zaino e poi fuori. È ancora buio pesto, solo un debole accenno d'alba ad est, fa freddino mi sa che siamo di nuovo qualche grado sotto lo zero, in valle si vedono le luci lontane dei paesi 2000 metri più in basso; provo a fare qualche foto e maledico l'avere con me solo la compatta, ma i 2 chili della macchina grossa li avrei sentiti parecchio, senza contare l'ingombro in più. Siamo vestiti, un controllo all'imbrago uno ai ramponi e Stefano prepara la cordata lui apre, io chiudo, in mezzo Carolina e Gian Paolo.
Appena dietro il rifugio siamo subito sul ghiacciaio, la luce frontale non serve il cielo è ormai abbastanza chiaro da permetterti di vedere quel poco che serve. Provo a fare un paio di scatti, ma tra la piccozza che penzola legata al polso e Stefano che non si ferma se non è mossa è un miracolo mi dico (infatti...).
Vabbè aspetto che ci sia più luce, intanto si sale a passo costante, seguiamo la linea di Stefano e ci fa tenere un passo buono per le nostre modeste condizioni di allenamento (a volte ho l'impressione che Stefano conosca meglio di noi il passo che siamo in grado di tenere), siamo diretti verso la sella che separa il Castore dal Polluce, l'altra cima del monte Rosa. Sebbene ci siano evidenti tracce delle cordate precedenti che sono salite, noto che la linea che traccia Stefano non sempre combacia, anzi spesso passa in zone totalmente diverse, non so se è perché legge in ghiaccio in modo diverso o perché semplicemente non segue le tracce esistenti, ma va bene così sento che lo sforzo è costante senza strappi. Il respiro è comunque abbastanza accelerato siamo ad oltre 3700 metri (così almeno mi dice il GPS) l'aria comincia ad essere sottile ed i 3 kg appesi ai piedi tra pedule e ramponi (oltre allo zaino) non aiutano certo. Faccio un paio di panorami ben sapendo che una volta a casa avrei storto il naso perché non avrebbe mai reso la grandiosità di quello che avevo davanti agli occhi. Arriviamo alla sella, dietro di noi vediamo le cordate che abbiamo superato salendo e davanti comincia la parte ripida del ghiacciaio (mi accorgerò poi quanto sarà veramente ripida), una piccola pausa, si accorcia il tratto di corda che ci separa, e si inizia la salita. Stavolta la traccia lasciata dalle tante cordate la usiamo eccome; la piccola cengia creata dai passaggi precedenti fa comodo se devi salire su una superficie ghiacciata di 45 gradi! Procediamo a zig zag sempre più in alto, il tempo per guardarsi intorno è davvero poco, si deve stare attenti a non scivolare sarebbe un disastro su un pendio così ripido, ma approfittando di una piccola sosta riesco comunque a fare qualche scatto per fare un bel panorama di quanto abbiamo sotto e dietro di noi. Arriviamo al crepaccio sommitale, ci fermiamo tutti vicini l'uno all'altro, Stefano si accinge a passare io pianto la piccozza nel ghiaccio quanto più fondo possibile e lo stesso faccio con le punte dei ramponi (non si sa mai) lui passa, infila la sua piccozza nelle ghiaccio per fare sicurezza a noi ancora sotto il crepaccio, passiamo tutti, questa è fatta; arriviamo a delle roccette, le lasciamo alla nostra sinistra e raggiungiamo la cresta che ci condurrà in vetta. Veniamo inondati dal primo sole del giorno (dopotutto non sono neanche le 8 del mattino) e, complice una giornata che si annuncia con un tempo splendido, ci si spalanca davanti agli occhi un panorama da urlo! Tutti i 4000 del gruppo del rosa e quelli circostanti sono innanzi al nostro sguardo; uno spettacolo di ghiaccio, roccia e cielo veramente splendido! Adesso viene il bello... si deve seguire una sottile cresta di ghiaccio e neve che in molti punti non è più larga di 30 centimetri, a destra e sinistra il pendio ghiacciato con una pendenza di 50 gradi, ti senti davvero a passeggio nel cielo, ma devi guardare bene dove metti i piedi altro che panorama!
Seguiamo la cresta facendo molta attenzione e finalmente arriviamo in vetta, sono circa le 8.15 di mattina. Ah certo che qui si sta "comodi" ci saranno ben 4 metri quadri! Restiamo legati e cerco di fare qualche foto anche se non riesco a fare un panorama di 360 gradi come avrei voluto, ma va bene così.
Veniamo raggiunti da altre cordate alcune con amici di Stefano, si mangia qualcosa, si aspetta che il crinale di discesa sia percorribile e poi, invertito l'ordine della cordata, iniziamo a scendere.
La tentazione di guardarmi intorno mentre cammino è davvero forte, ho gli occhi pieni di uno spettacolo stupendo, ma quella crestina sottile mi costringe a guardare molto bene dove metto i piedi ed è decisamente meglio non fare cavolate a quelle quote, le rischi di pagare molto care.
Arriviamo ad un primo piano sul ghiacciaio, la parte difficile è ormai alle spalle, proseguiamo verso una seconda discesa piuttosto ripida fino ad una zona del ghiacciaio poco più che piana, ci fermiamo e via la corda, via l'imbrago e via la piccozza, ormai non servono più. Arriviamo al rifugio Quintino Sella che sono le 10.30 di mattina, presto, ma noi stiamo camminando da ormai quasi 5 ore, ci leviamo finalmente i ramponi; adesso un panino e una birretta non ce li leva nessuno.
Ci rimettiamo in cammino, siamo ancora ad oltre  3500 metri e la strada per il fondo valle è ancora lunga; dopo 2 ore e mezza di discesa, prima su una esposta cresta rocciosa e poi su una interminabile pietraia, arriviamo alla sella del colle Bettaforca, non ne posso più... sono stanco ho le gambe indolenzite ed anche gli altri non è che proprio siano messi benone. Facciamo i biglietti e scendiamo con gli impianti (avremmo dovuto scendere ancora di 1100 metri), arriviamo a valle dopo un'altra ora, la seconda birretta della giornata ci sta proprio bene.
Salutiamo Stefano, prendiamo la navetta che ci riporta verso St. Jacques, tanto stanchi quanto soddisfatti per la splendida escursione sul Castore.

 

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